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il santo graal la leggenda e la storia

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view post Posted on 18/11/2005, 11:51     +1   -1
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Imperatrice della bambagia!

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Il termine Graal deriva dal latino Gradalis, con cui si designa una scutella lata et aliquantulum prufunda (Helimand de Froidmont): una tazza, un vaso, un calice, un catino. Questi umili oggetti, nella mitologia, rivestono un nobile ruolo: sono infatti i simboli del grembo fecondo della Grande Madre, la Terra, e, come l'inesauribile Cornucopia dei Greci e dei Romani, portano vita e abbondanza. La coppa della vita dei Celti è il "Calderone di Dagda", portato nel mondo materiale dai Tuatha De Danaan, rappresentanti ultraterreni del "piccolo popolo". Molti eroi celtici hanno avuto a che fare con magici calderoni; nel poema gaelico "Preiddu Annwn", Re Artù andò a recuperarne uno addirittura negli Inferi. La tradizione cristiana annovera almeno due sacri contenitori: il Calice dell'Eucarestia e - sorprendentemente - la Vergine Maria. Nella Litania di Loreto essa è descritta come Vas spirituale, vas honorabile, vas insigne devotionis, ovvero "vaso spirituale, vaso dell'onore, vaso unico di devozione": nel grembo (vaso) della Madonna, infatti, la divinità era divenuta manifesta.

Forse, quando Chretien de Troyes, alla fine del XII secolo, decise di introdurre nella materia arturiana il motivo del "Vaso Sacro" lo fece perché era al corrente dei miti celtici del Calderone e l'argomento gli sembrò particolarmente in tema; o forse si trattò di una scelta casuale. Forse esisteva già una tradizione orale sul Graal, e Chretien si limitò a metterla per iscritto; forse (e questa è l'ipotesi più probabile), elaborò in termini cristiani le antiche leggende sui contenitori sacri, o forse il Graal fu una sua geniale invenzione. Sta di fatto che (come è accaduto per Re Artù) da otto secoli il Graal continua a stimolare l'immaginazione di generazioni di lettori: e questa, in un certo senso, è la prova tangibile del suo magico potere.

Il Graal di Re Artù

Il Graal arturiano fu descritto per la prima volta da Chretien intorno al 1190 in Perceval le Gallois ou le Compte du Graal; nel volgere di soli venti anni (un tempo sorprendentemente breve rispetto a quelli, lunghissimi, in cui si sono sviluppate le saghe arturiane), esso era già perfettamente caratterizzato. Così il poeta francese racconta la sua apparizione: la scena si svolge nel castello del "Re Pescatore", un personaggio su cui ritorneremo; qui il cavaliere Parsifal assiste a una processione che scorre accanto alla tavola su cui verrà servita la cena. Per primo passa un ragazzo con una lancia insanguinata, poi due giovani con un candelabro, e infine "(...) Un graal entre ses deus mains une damoisele tenoit (...) De fin or esmereè estoit prescieuses pierres avoit el graal de maintes manieres, de plus riches et de plus chieres qui en mer ne en terre soient" ("Una damigella teneva un graal tra le sue mani (...) Era fatto di oro puro, e c'erano nel graal molte preziose pietre, le più belle e le più costose che ci siano per terra e per mare"). La parola "Graal" è utilizzata con il significato generico di coppa (ma c'è da chiedersi come mai Chretien avesse fatto uso di quel termine già allora arcaico); il calice fa parte di un gruppo di oggetti egualmente dotati di poteri mistici e non ha comunque alcuna associazione con il sangue di Gesù.
Solo nel successivo Joseph d'Arimathie - Le Roman de l'Estoire dou Graal, un testo arturiano del cosiddetto "Ciclo della Vulgata" (dove però Re Artù non compare) scritto da Robert de Boron intorno al 1202, il Graal viene descritto come il calice dell'Ultima Cena, in cui Giuseppe d'Arimatea aveva raccolto il sangue di Gesù crocifisso. De Boron lo chiama "Graal" una volta sola, in un inciso (in verità un po' slegato dalla continuity del testo) da cui si evince che la coppa aveva già una storia e un nome particolare prima di essere utilizzata da Gesù: "Io non oso raccontare, né riferire, né potrei farlo (...) le cose dette e fatte dai Grandi Saggi. Là sono scritte le ragioni segrete per cui il Graal è stato designato con questo nome". Il Joseph d'Arimathie fu continuato e integrato da un anonimo autore del XIII secolo che, in Le Grand Graal, introdusse alcuni nuovi elementi. Il Graal è associato (o "è" tout court) a un libro scritto da Gesù Cristo alla cui lettura può accedere solo chi è in grazia di Dio. Le verità di fede che esso contiene non potranno mai essere pronunciate da lingua mortale senza che i quattro elementi ne vengano sconvolti. Se ciò, infatti, dovesse accadere, i cieli diluvierebbero, l'aria tremerebbe, la terra sprofonderebbe e l'acqua cambierebbe colore . Il libro-coppa possiede dunque un temibile potere. Il Grand Graal è collegato sia a tradizioni ebraiche (viene trasferito in Inghilterra in un contenitore identico all' Arca dell'Alleanza) sia islamiche: è infatti in relazione con una terra chiamata "Sarraz", impossibile da situare storicamente o geograficamente (non è in Egitto, ma si vede da lontano il Grande Nilo; il suo Re combatte contro un Tolomeo, mentre la dinastia tolemaica si estinse prima di Cristo), ma situata comunque in Medio Oriente. Da essa, infatti, - afferma l'autore - ebbero origine i Saraceni . Intorno al 1210, nel poema Parzival, il tedesco Wolfram Von Eschenbach conferì al Graal ulteriori connotazioni. Non si tratta di una coppa, bensì di "(...) una pietra del genere più puro (...) chiamata lapis exillis. (Se un uomo continuasse a guardare) la pietra per duecento anni, (il suo aspetto) non cambierebbe: forse solo i suoi capelli diventerebbero grigi". Il termine lapis exillis è stato interpretato come "Lapis ex coelis", ovvero caduta dal cielo: e, difatti, Wolfram scrive che la pietra era uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e portato a terra dagli angeli rimasti neutrali durante la ribellione. La tradizione esoterica delle pietre sacre, tramiti fisici tra l'uomo e Dio, è tipicamente Orientale: la pietra nera conservata nella Ka' ba è l'oggetto più sacro della religione islamica; i seguaci della Qabbalah ebraica utilizzano il termine "Pietra
dell'esilio" per designare lo Shekinah, ovvero la manifestazione di Dio nel mondo materiale; ancora più a Oriente, l'Urna incastonata nella fronte di Shiva della tradizione induista, simboleggia il "Terzo Occhio", organo metafisico che permette la visione interiore.

La ricerca del Graal

Perché il calice fu portato proprio in Inghilterra? Dal punto di vista letterario la risposta è ovvia: là erano nati i miti di Artù e là, necessariamente, doveva svilupparsi la storia del Graal a essi collegata. Ma i sostenitori della sua esistenza materiale avanzano altre ipotesi, in verità piuttosto ardite. Durante la sua permanenza in Cornovaglia, Gesù aveva ricevuto in dono una coppa rituale da un Druido convertito al cristianesimo, e
quell'oggetto gli era particolarmente caro. Dopo la crocifissione, Giuseppe d'Arimatea aveva voluto riportarla al donatore ulteriormente santificata dal sangue di Cristo; il Druido in questione era Merlino, trait d'union tra la religione celtica e quella Cristiana. Sia come sia, le peripezie subite dal Graal dopo il suo arrivo in Inghilterra variano in modo considerevole a seconda delle varie fonti. Estrapolando dalla Materia di Bretagna gli episodi più ricorrenti, è possibile tracciare schematicamente il seguito della storia. Giunto a destinazione, Giuseppe affida la coppa a un guardiano soprannominato "Ricco Pescatore" o "Re Pescatore" perché, come Gesù, ha sfamato un gran numero di persone moltiplicando un solo pesce. A seconda delle versioni, il Re Pescatore è Hebron o Bron, cognato di Giuseppe d'Arimatea e nonno (o zio, o cugino) di Parsifal. Nel Parzival di Wolfram Von Eschenbach, è un Re chiamato Anfortas, la cui figlia sposa l'eroico saraceno Feirefiz e genera Prete Gianni.
Secoli dopo, nessuno sa più dove si trovi il "Re Pescatore": il Graal è, di fatto, perduto. Sulla Britannia si abbatte una maledizione chiamata dai Celti "Wasteland" ("La terra desolata"), uno stato di carestia e devastazione sia fisica che spirituale. Il Wasteland è stato scatenato dal "Colpo Doloroso", ovvero da un colpo vibrato da Balin il Selvaggio con la Lancia di Longino (in altre versioni, da Re Varlans con la Spada di Davide) nei genitali del "Re magagnato". Il Maimed King si chiama Perlan, Pellehan, Pelles, Lambor, oppure è identificato con lo stesso "Re Pescatore". Per annullare il Wasteland - spiega Merlino ad Artù - è necessario ritrovare il Graal, simbolo della purezza perduta. Un Cavaliere (Parsifal "il Puro Folle", o Galaad "il Cavaliere vergine") occupa allora lo "Scranno periglioso", una sedia tenuta vuota alla Tavola Rotonda, su cui può sedersi (pena l'annientamento) solo "il Cavaliere più virtuoso del mondo", colui che è stato predestinato a trovare il Graal. Ispirato da sogni e presagi, e superando una serie di prove "perigliose" (il "Cimitero periglioso", il "Ponte periglioso", la "Foresta perigliosa", il "Guado periglioso", eccetera), Parsifal rintraccia Corbenic, il Castello del Graal e giunge al cospetto della Sacra Coppa. Non osa però porre le domande "Che cos'è il Graal? Di chi esso è servitore?", contravvenendo così al suggerimento evangelico "Bussate e vi sarà aperto". Il Graal scompare di nuovo. Dopo che il Cavaliere ha trascorso alcuni anni in meditazione, la ricerca riprende. Finalmente Parsifal (o Galaad) pone il quesito, a cui viene risposto: "È il piatto nel quale Gesù Cristo mangiò l'agnello con i suoi discepoli il giorno di Pasqua. (...) E perché questo piatto fu grato a tutti lo si chiama Santo Graal" (la frase, che comprende l'insolita etimologia grato-Graal - è tratta da La Queste del Saint Graal, romanzo di autore anonimo del "Ciclo della Vulgata" del 1220). Il Re Magagnato si riprende, il Wasteland finisce; Re Artù muore a Camlann e Merlino sparisce nella sua tomba di cristallo (o d'aria). Il Graal viene riportato a Sarraz (o nel Regno di prete Gianni) da Parsifal e Galaad. Fuori dal canone abbiamo escluso le molte opere sul Graal posteriori al 1220, tra cui The Idylls of the King di Tennyson (1885), nel quale si racconta che Giuseppe d'Arimatea nascose il Graal nel Chalice Well di Glastonbury. Di un poco noto Graal non canonico italiano, del tutto indipendente dalla "Materia di Bretagna", si parla nella tradizione lucchese del "Volto Santo". Nel secolo VIII, un vescovo di nome Gualfredo si recò a Gerusalemme per visitare i luoghi sacri; là il pellegrino compì varie penitenze, digiuni ed elemosine. Fu allora che, per compensarlo della sua devozione, gli comparve un angelo, il quale lo invitò a cercare con diligente devozione nella casa presso la sua: là avrebbe scoperto "il volto del redentore", cui tributare degna venerazione. Così, nella dimora di un certo Seleuco, Gualfredo ritrovò il "Volto Santo", un antico crocifisso scolpito in cedro del Libano dall'apostolo Nicodemo, lo stesso che aveva aiutato Giuseppe d'Arimatea a togliere dalla croce il corpo di Gesù. In una cavità dietro la croce si trovava un'ampolla con il sangue di Cristo. Croce e ampolla vennero caricate su una nave di grandezza straordinaria che, guidata dagli angeli e senza altro equipaggio, attraversò il Mediterraneo in tempesta e approdò sulle coste della Lunigiana. Le reliquie furono disputate da Lucchesi e Lunesi, e si stabilì che il Volto Santo sarebbe stato portato a Lucca (dove è tuttora visibile nella cattedrale di San Martino), e l'ampolla sarebbe rimasta a Luni, dove se ne sono perse le tracce. Intorno al 540, stando alla "Materia di Bretagna", il Graal fu riportato in Medio Oriente. Per secoli non se ne sentì più parlare, finché, verso la fine del XII secolo, esso balzò (o tornò) improvvisamente alla ribalta. Come mai? Cos'aveva ridestato l'interesse nei confronti di un mito apparentemente dimenticato? La maggior parte degli studiosi concordano nel ritenere le Crociate l'avvenimento scatenante. A partire dal 1095, molti Cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa ed erano entrati per forza di cose in contatto con le tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo: sicuramente qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto dagli straordinari poteri. Grazie ai Crociati, la leggenda raggiunse l'Europa e vi si diffuse. C'è anche chi ritiene che il Graal sia stato rintracciato dai Crociati e riportato nel Vecchio Continente. In tal caso vi si troverebbe ancora, ma dove?

da www.robertolapaglia.com

ciao
sara
 
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Spettro_nero
view post Posted on 19/11/2005, 08:57     +1   -1




Mi permetto di aggiungere che il santo graal, nelle leggende crisitane medioevali, era un talismano identificato con la coppa usata da Gesù durante l'Ultima Cena, oggetto agognato in molte leggende; spesso chiamato sangreal, sangue reale.
Anche se non tutte le leggende parlano dell'origine della coppa sacra, alcuni lo fanno risalire addirittura alla creazione del mondo, affermando che quando Lucifero era ancora al fianco di Dio, gli altri angeli gli offrirono una bellissima corona, la cui gemma centrale era uno smeraldo perfetto di grandi dimensioni. Quando Dio annunciò alla sua corte che aveva intenzione di mandare suo figlio sulla terra, ne scaturì una guerra. Lucifero guidò la rivolta contro Dio e fu cacciato dal paradiso. Durante la sua caduta, lo smeraldo cadde dalla sua testa e andò a conficcarsi nella terra. Dalla pietra fu poi ricavata una coppa, dalla quale Gesù bevve durante l?ultima Cena. Mentre Gesù moriva sulla Croce, Giuseppe di Arimatea raccolse alcune gocce del suo sangue nella coppa. Dopo la crocifissione, Giuseppe fu rinchiuso in prigione e nutrito attraverso la sacra coppa o Graal. Restò in prigione fin quando l'imperatore Vespasiano, sentendo la storia di Cristo, mandò i suoi messaggeri in Palestina per appropriarsi della coppa che, egli sperava, avrebbe curato il figlio di Tito dalla lebbra. Tito fu curato con il fazzoletto di Veronica ma volle comunque liberare Giuseppe dalla prigione. Per paura di essere imprigionato di nuovo, Giuseppe si imbarcò con sua sorella e suo cognato Brons su una nave diretta a Marsiglia. Durante il viaggio, la coppa fornì loro tutto ciò di cui avevano bisogno. Sbarcato in Francia, un messaggero celeste disse a Giuseppe di costruire un tavolo rotondo , per la sua famiglia, sul quale avrebbe posto il santo Graal che avrebbe fornito ai suoi ospiti tutto ciò di cui avessero avuto bisogno. Un posto attorno al tavolo sarebbe rimasto vuoro, a ricordo del traditore di Gesù, Giuda. Solo un uomo senza peccato avrebbe potuto occupare qul posto. Quando un peccatore si sedette lì, la terra si aprì inghiottendolo. A Giuseppe fu detto che in futuro anche Merlino avrebbe costruito un tavolo simile, al quale un discendente di Brons si sarebbe seduto, occupando il Seggio Periglioso. Da Marsiglia il gruppo si diresse verso Glastonbury, in Inghilterra. Per un po' di tempo il santo Graal fu visibile a tutti, ma poi sparì, a causa delle vite peccaminose che si conducevano in quel luogo. Fu quindi trasferito a Sarras(probabilmente un'isola del Mediterraneo dove, secondo una leggenda, fu costudito da re Evelake.




La leggenda secondo cui Giuseppe d’Arimatea gettò il Graal in un pozzo a Glastonbury è in realtà recente, in quanto fu partorita dalla fervida fantasia del poeta Alfred Tennyson in occasione della stesura, nel XIX secolo, della sua opera: "l’Idylls of the King". Il fatto che si tratti di un’invenzione letteraria piuttosto che di una leggenda nata su un fondamento di verità storica non significa necessariamente che il Chalice Well non sia comunque legato dalla tradizione a manufatti più o meno misteriosi. Difatti, per quanto possa sembrare strano, questa cavità è effettivamente legata ad un’antica coppa, anzi, a due antiche coppe. Una di queste, in legno d’ulivo, fu realmente rinvenuta nel pozzo qualche secolo fa ma dopo un attento esame risultò essere un artefatto rituale celtico. La seconda coppa ma forse è sempre la medesima, fu oggetto di lunghe ed estenuanti ricerche da parte del celebre occultista John Dee che, nel 1582, si recò, in più di un occasione, a Glastonbury, poiché era fermamente convinto che il Pozzo del Calice fosse il nascondiglio segreto di un vaso contenente l’elisir dell’eterna giovinezza.
È doveroso precisare in questa sede che l’arrivo di Giuseppe d’Arimatea in Gran Bretagna, nel I secolo d.C., sembra essere attestato storicamente, difatti, vi sono alcuni documenti che lo comprovano.
Uno di questi è l’"Annales Ecclesiasticae" del 1601, che riporta un’annotazione del bibliotecario vaticano, il cardinale Baronio, sull’arrivo di Giuseppe d’Arimatea a Marsiglia nel 35 d.C. e sul proseguimento del suo viaggio alla volta della Britannia, dove, assieme ai suoi compagni, iniziò l’opera di evangelizzazione.

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John Dee (1527-1608) matematico, medico, astrologo e cristallomante inglese. Tra gli studiosi più eruditi del suo tempo, John Dee si laureò al Trinity College di Cambridge e nel corso della propria vita scrisse numerose opere di carattere scientifico. Nel 1581 iniziò ad avere delle visioni ed un anno dopo l’angelo Uriel gli avrebbe consegnato una sfera di cristallo grazie alla quale sarebbe stato in grado di entrare in contatto con entità ultraterrene. L’impossibilità di ricordare le visioni avute lo costrinse a cercare qualcuno che lo facesse per lui e trovò la persona giusta e l’amico fidato in Edward Kelly (morto nel 1593 o nel 1597). Costui, negromante e profanatore di tombe, alchimista ed occultista inglese, noto con il nome iniziatico di Talbot, subì la pena della mutilazione delle orecchie, inflitta a quell’epoca a chi praticasse la necromanzia e violasse i sepolcri. Le visioni precognitive, tuttavia, raramente preannunciavano eventi che poi si verificavano ed i fenomeni paranormali che si manifestavano nel corso di tali visioni erano sporadici, a tal punto da indurre i biografi del Dott. Dee a ritenere che la stragrande maggioranza dei prodigi che accompagnarono la vita dell’erudito occultista in realtà non fossero altro che un’esagerazione se non addirittura un’invenzione della fertile e perversa fantasia del Kelly. John Dee si occupò anche di alchimia e quando fu convocato dal facoltoso nobile Albert Laski, in Polonia, tentò senza successo di trasmutare il ferro in oro. I due, successivamente, giunsero a Praga, la Città Magica per eccellenza, dove, alla corte dell’imperatore Rodolfo, sovrano appassionato di esoterismo e di scienze occulte, praticarono l’alchimia e le arti magiche, fino a quando non furono allontanati per l’intervento del nunzio papale. L’amicizia tra i due occultisti si incrinò quando Kelly si infatuò della consorte di John Dee. Edward Kelly morì in Germania durante un tentativo di evasione dalla prigione in cui era detenuto per vari reati commessi in questo paese mentre il Dott. Dee, una volta tornato in Inghilterra, divenne povero e trascorse gli ultimi anni della sua avventurosa e turbolenta vita predicendo il futuro in cambio di denaro e scrivendo le proprie memorie. Di John Dee si dice, ma anche questa è leggenda, che sia riuscito a realizzare la più potente "Mano di Gloria" mai esistita, nota come Sigillum Emeth, poi andata persa con la sua morte, un potentissimo oggetto nero consistente nella mano mummificata di un morto impiccato e successivamente sottoposta a complessi rituali per orientare il suo immenso potere magico verso finalità specifiche. Per quanto ci è dato di sapere, nel mondo, esisterebbero solo tre esemplari di Mano di Gloria: una, in ottimo stato di conservazione, è di proprietà di un pittore italiano, l’altra si troverebbe da qualche parte a Praga ma di essa, purtroppo, non si hanno notizie certe, mentre la terza è custodita in un museo privato in Inghilterra ed a quanto pare non sarebbe in buone condizioni.
 
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view post Posted on 19/11/2005, 14:41     +1   -1
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grazie per la tua aggiunta e' molto interessante!
ciao
sara
 
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