Anello di sosta forum

GOSHO felicita in questo mondo, sritti di Nichiren Daishonin Monaco Buddista

« Older   Newer »
  Share  
TOPIC_ICON12  view post Posted on 27/10/2007, 17:15     +1   -1
Avatar

utente storico

Group:
Member
Posts:
11,740
Reputation:
+15
Location:
Ore 14.18 IsLaNdA

Status:


!!
GOSHO

felicita in questo mondo


felicita in questo mondo

shijo kingo dono gohenji (shujo shoyuraku gosho)
gosho zenshu pag. 1143
gli scritti di nichiren daishonin voI. 4 pag. 157

Non c’è felicità più grande per gli esseri umani che recitare Nam-myo -ho-ren-ge-kyo. il sutra afferma: «Le persone lì (nella mia terra) sono felici e a loro agio»1. Felici e a loro agio sta a indicare la gioia che deriva dalla Legge. Tu sei ovviamente incluso fra le “persone” e “lì” indica il mondo intero, compreso il Giappone. «Felici e a loro agio» significa capire che le nostre vite, sia i nostri corpi che le nostre menti, noi stessi e il nostro ambiente, sono l’entità di ichinen sanzen e il Budda di assoluta libertà.
Non c’è felicità più grande che avere fede nel Sutra del Loto. Esso assicura «pace e sicurezza in questa vita e circostanze favorevoli nella prossima»2. Non permettere mai che le avversità della vita ti preoccupino. Dopotutto nessuno può evitare i problemi, nemmeno i santi o i saggi. Semplicemente recita Nam-myoho-renge-kyo e, quando bevi saké, stai a casa con tua moglie. Soffri per quel che c’è da soffrire e gioisci per quello che c’è da gioire. Considera entrambe, sofferenza e gioia, come fatti della vita e continua a recitare Nam-myo -ho-ren-ge-kyo qualunque cosa accada. ln questo modo sperimenterai una gioia illimitata derivante dalla Legge. Rafforza la tua fede più che mai.

Con profondo rispetto,
il 27 giugno del secondo anno di Kenji (1276)
Nichiren

Spiegazione a cura di
giulio mario rampelli

[ cenni storici ] Questa lettera fu scritta a Minobu il 27 giugno del 1276 e indirizzata a Shijo Kingo, che in quel periodo stava affrontando il momento più difficile e pericoloso di tutta la sua vita: i suoi compagni d’armi stavano cercando un’occasione per ucciderlo e il suo signore continuava a disapprovare fortemente la sua fede. Questo Gosho è una delle numerose lettere che il Daishonin scrisse a Shijo Kingo per aiutarlo a mantenere la sua determinazione nel momento cruciale.

ln questo breve Gosho destinato a Shijo Kingo il Daishonin espone in modo completo ed estremamente semplice i principi fondamentali della fede. Nella splendida spiegazione che il presidente lkeda dà di questa lettera (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, Esperia edizioni, 1997, pag. 161) si legge che «comprenderla profondamente significa aver interiorizzato il segreto della fede e della vita».
Non c’è felicità più grande per gli esseri umani che recitare Nam-myoho-renge-kyo.Non esiste essere umano che non desideri la felicità, e tuttavia è estremamente difficile trovare qualcuno che possa definirsi realmente felice. Tale difficoltà dipende prima di tutto dalle illusioni riguardo a cosa sia effettivamente la felicità. Il Buddismo spiega che la sofferenza e l’insoddisfazione nascono dall ‘ignoranza riguardo alla realtà della vita, la quale ci impedisce di spezzare le catene del nostro destino e ci rende schiavi delle nostre tendenze karmiche.
Nella frase che apre questo Gosho Nichiren spiega che la felicità che stiamo cercando consiste nel recitare Nam-myoho-renge-kyo. Questa affermazione è al tempo stesso semplice e straordinariamente profonda, contenendo l’essenza dell’insegnamento del Daislionin. Se pensiamo che il Daimoku sia solo un mezzo per risolvere i problemi e realizzare i desideri, consideriamo la presenza di problemi e desideri come un ostacolo alla nostra felicità. Al contrario, Nichiren ribalta completamente il nostro punto di vista, spiegando che problemi e desideri non sono altro che un mezzo, un’occasione per recitare Daimoku. in altre parole, la felicità non è un effetto della pratica buddista, ma la pratica stessa.
La maggior parte di coloro che praticano il Buddismo del Daishonin ha sperimentato in una o più occasioni l’emergere di una felicità profonda e liberatoria durante la pratica quotidiana, eppure è assai facile dimenticare quelle esperienze quando si presenta una grave difficoltà o quando si scivola in una pratica abitudinaria e formale. Questo Gosho ci offre un metodo per riflettere sullo stato della nostra fede. Da cosa ricaviamo la nostra soddisfazione quotidiana? Da un lavoro che ci gratifica o da un amore che ci riempie? O magari dalla posizione che ricopriamo nella società o nell’organizzazione? Nonostante questo tipo di soddisfazioni faccia parte della vita, come buddisti non dovremmo basarci su di esse, ma ricercare la felicità davanti al Gohonzon, l’unica via per gioire pienamente della vita in tutti i suoi aspetti.
La felicità che deriva dalla realizzazione dei desideri è detta relativa, in quanto in relazione con i fenomeni, e come tale non può essere in alcun modo stabile e duratura, in quanto i fenomeni sono soggetti al principio di impermanenza. Invece la felicità di cui parla il Daishonin è la felicità assoluta dello stato di Budda. Essa non viene influenzata dalle circostanze esterne in quanto scaturisce direttamente dalla vita stessa.
Il Sutra afferma: “Le persone lì (nella mia terra) ... sta a indicare la gioia che deriva dalla Legge.
Il Daishonin riporta qui una frase del Jigage, la parte in versi del capitolo Juryo del Sutra del Loto che recitiamo in Gongyo, shujo sho yuraku. I sutra precedenti al Sutra del Loto, come quelli della Pura Terra, così come le interpretazioni più diffuse di alcune grandi religioni, promettono agli esseri umani una ricompensa per la loro fede in luoghi e tempi completamente separati dalle nostre attuali circostanze, come la Pura Terra d’Occidente del Budda Amida o il paradiso dopo la morte. Al contrario, il Sutra del Loto sostiene che la terra del Budda coincide con il mondo di saha, il mondo in cui viviamo. <<la mia terra pura non viene distrutta, eppure la moltitudine la vede consumata dal fuoco: ansia paura e sofferenza predominano in essa>> (Jigage).
Letteralmente yu di yuraku vuol dire vivere come si vuole, mentre raku significa godere pienamente della vita. Yuraku dipende esclusivamente dallo stato vitale della persona, il quale determina totalmente la sua percezione della realtà. Nel Gosho Risposta a Soya nyudo si legge:
<<gli spiriti affamati vedono il fiume Gange come fuoco, gli esseri umani vi vedono l’acqua e gli esseri celesti lo vedono come amrita (ambrosia). L’acqua è sempre uguale, ma appare diversamente secondo la capacità karmica degli individui» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, voI. 7, pag 147).
Che la vita ci riservi comunque la sua dose di problemi e sofferenze è un dato immodificabile, ma innalzando il nostro stato vitale attraverso la pratica buddista potremo utilizzare ogni sofferenza per creare valore, e persino riuscire a gioire delle difficoltà che ci si presentano. Fu proprio a Sado che il Daishonin scrisse: «Provo una gioia senza limiti anche se adesso sono in esilio» (La vera entità della vita), mentre Tsunesaburo Makiguchi, il primo presidente della Soka Gakkai, scrisse dal carcere: «Può esserci gioia anche nell’inferno. Tutto dipende dal nostro spirito».

Tu sei ovviamente compreso fra “le persone” e “lì” indica il mondo intero, compreso il Giappone.

Quando ricevette questa lettera, Shijo Kingo stava affrontando enormi difficoltà. Anche se comprendiamo teoricamente le parole del Sutra e quelle del Daishonin, per noi è estremamente difficile credere nella possibilità di sentire gioia nel pieno della sofferenza. Oscurati dall’ignoranza e dall’illusione, immaginiamo la felicità come un qualcosa di talmente grande e meraviglioso da non poter essere contenuta nella nostra ordinaria esperienza quotidiana. Oppure, anche se crediamo nelle parole del Gosho, ci lasciamo ingannare dall’idea che solo dopo moltissimi anni di pratica sia possibile sperimentare il tipo di felicità di cui parla il Daishonin. ln entrambi i casi commettiamo l’errore di proiettare la possibilità di essere felici in un futuro prossimo o lontano, escludendo di poterla sperimentare nel presente. Per questo il Daishonin chiarisce a Shijo Kingo che la frase del Sutra si riferisce non a una generica persona in un generico luogo, ma esattamente a lui e alla nazione in cui vive.
Questo vale anche per ognuno di noi, e dovremmo
sforzarci di crederlo sia quando affrontiamo una difficoltà che quando incoraggiamo gli altri e parliamo loro di Buddismo. Non esiste situazione, per quanto drammatica, in cui non sia possibile sperimentare la gioia che deriva dalla Legge. il Buddismo spiega che ogni essere umano è un Budda, ma avverte anche che senza questa consapevolezza persino il Daimoku diviene inutile. «Finchè non percepisci la natura della tua mente la tua pratica sarà un’infinita e dolorosa austerità)> (“il raggiungimento della Buddità in questa esistenza”, lbidem, vo1. 4, pag. 4). Affrontare i problemi della vita recitando Daimoku e sforzandosi di sentirsi Budda davanti al Gohonzon è esattamente il coraggio nella fede di cui parlano molti Gosho.

«Felici e a loro agio» significa capire che le nostre vite, .. e il Budda di assoluta libertà.

Il Sutra del Loto afferma che la vera natura della nostra vita non è altro che la Buddità, e quando recitiamo Daimoku questa natura emerge inesorabilmente, illuminando i nove mondi che rappresentano la realtà del comune mortale. il principio del mutuo possesso dei dieci mondi spiega che, anche se recitiamo in preda alla sofferenza o alla collera, il Daimoku trasformerà questi stati vitali facendo emergere da essi la Buddità. Quando ci inginocchiamo davanti al Gobonzon possiamo essere posseduti dalla tristezza più profonda o dalla rabbia più feroce, ma la semplice azione di recitare Daimoku affidandosi al Gohonzon manifesta il nostro ichinen di voler cambiare. La rivoluzione umana passa attraverso la trasformazione e l’armonizzazione del funzionamento dei nove mondi, un processo che viene attivato dalla pratica stessa.
Principi buddisti come bonno soku bodai (i desideri terreni sono illuminazione) e shoji soku nehan (le sofferenze di nascita e morte sono nirvana) spiegano anch’essi la funzione del Daimoku. Desideri e sofferenze, inducendoci a recitare davanti al Gohonzon, vengono trasformati in llluminazione attraverso il po tere del Daimoku, esattamente come il fiore di loto che emerge dal fango. Soku, il principio di trasformazione, non è altro che Nam-myohorenge-kyo.
Ovviamente è meglio se abbiamo scopi chiari, ma spesso per chiarire gli obiettivi è prima necessario far emergere la saggezza del Budda attraverso la recitazione del Daimoku. Generalmente gli scopi di chi pratica il Buddismo, che all’inizio sono essenzialmente materiali ed egoistici, si modificano con il progredire della fede, estendendosi alla felicità degli altri e all’ambito del cambiamento interiore. Questa evoluzione nella qualità dei nostri desideri fa parte a pieno titolo del processo della rivoluzione umana. 1 Man mano che il nostro ichinen si consolida nella direzione della realizzazione di kosen-rufu, la missione dei Bodhisattva della Terra, ci scopriremo in grado di trasformare il nostro karma sempre più in profondità, fino a toccare le radici stesse delle nostre sofferenze. Se invece con il passare degli anni continuiamo a perseguire esclusivamente o principalmente obiettivi egoistici, i benefici che abbiamo sperimentato all’inizio della pratica cessano di manifestarsi, non perché il Daimoku non funzioni più, ma in quanto siamo noi stessi che ci opponiamo al nostro cambiamento. Una tale pratica statica si manifesta in un Daimoku distratto e poco incisivo, e l’affermazione iniziale di questo Gosho sulla gioia di recitare Nam-myoho-renge-kyo diviene pura teoria.

Non c’è felicità più grande ….
nessuno può evitare i problemi, nemmeno i santi e i saggi.

Mentre all’inizio del Gosho si legge che la felicità risiede nella pratica buddista, in questo brano il Daishonin sottolinea la relazione tra felicità e fede. Avere fede nel Sutra del Loto vuol dire credere nel potenziale infinito insito nella nostra vita, nella possibilità di trasformare qualsiasi problema in un’esperienza e qualsiasi sofferenza in gioia. Una fede che nasce e si rafforza attraverso l’esperienza ci rende pian piano sempre più liberi dalla paura di dover affrontare nuove difficoltà, estendendo i nostri limiti via via più lontano.
Nemmeno i santi e i saggi possono evitare i problemi, ma il beneficio invisibile della pratica consiste proprio nello stabilire un ichirìen sempre meno soggetto alle tempeste della vita. Dal punto di vista della legge di causa ed effetto sarebbe quantomeno strano che si possa costruire la felicità sperimentando quotidianamente uno stato di infelicità. Deve esserci coerenza tra passato, presente e futuro. Per questo la cosa più importante è questa vita, è il presente. Il presidente lkeda paragona un forte stato vitale alla profondità dell’oceano, che non viene turbata dalle tempeste che avvengono in superficie. Ricercare e sperimentare la felicità che deriva dalla Legge nel presente rafforza il mondo di Buddità a livello del nostro ichinen, e costituisce l’unica causa per una felicità stabile nel futuro, compresa la prossima vita.


Semplicemente recita Nam-myohorenge—kyo ... una gioia illimitata derivante dalla Legge.


Shijo Kingo aveva ragioni di temere che, mentre era fuori casa, qualcuno potesse attaccano per ucciderlo. Per questo il Daishonin, che conosceva bene il suo discepolo, gli consiglia di essere prudente. Shijo Kingo rischiava di comportarsi avventatamente a causa del suo coraggio e della sua impulsività. Nel Gosho Gli otto venti Nichiren consiglia Shijo Kingo in questo modo:
«Rimani calmo, non ti far trasportare dai tuoi desideri, dalla preoccupazione per il tuo rango e dal tuo temperamento».
in pratica, il Daishonin incoraggia Shijo Kingo a divenire padrone della propria mente, a esercitare l’autocontrollo e ad accrescere la propria forza di volontà.

Anche noi spesso rischiamo di subire conseguenze a causa di un’eccessiva fiducia nel nostro istinto o della mancata padronanza della nostra emotività, la quale può costituire un filtro deformante attraverso cui interpretiamo la realtà, dando peso eccessivo ad alcuni aspetti e trascurandone altri che invece possono rivelarsi significativi. Controllare l’emotività non vuol dire che dovremmo inibirci o autocensurarci, ma piuttosto che dovremmo accrescere l’influenza della saggezza sulla nostra vita.
Per fare un esempio estremamente attuale, quando siamo in conflitto con qualcuno diventa estremamente difficile riconoscere i propri torti e le ragioni altrui. Ciascuna delle due parti considera soltanto le proprie ragioni, e ritiene che l’unica possibile soluzione del conflitto sia stabilire oggettivamente la giustezza del proprio punto di vista a scapito dell’altro. L’approccio nonviolento ai conflitti, in perfetta armonia con il principio di “divenire padroni della propria mente”, prevede al contrario un percorso di mediazione in cui si ottenga non la vittoria di una parte a scapito dell’altra, ma la vittoria di entrambi. Cercando di sintetizzare, gli elementi di un tale approccio sono i seguenti: 1) perseguire una verità e una giustizia che siano al di sopra delle parti in causa; 2) attraverso l’introspezione, distinguere gli obiettivi irrinunciabili (che si accordino ai criteri di verità e giustizia di cui sopra) da quelli soggettivi e individuali; 3) essere disponibili a effettuare il primo passo di avvicinamento senza chiedere nulla in cambio, basato sul riconoscimento dei propri torti e delle ragioni altrui, con lo scopo di rompere la logica deformante che agisce in un confino e aprire un dialogo sincero e costruttivo; 4) perseverare con pazienza nello sforzo di aprire la strada del dialogo, anche se ciò può comportare inizialmente delle apparenti sconfitte. Per comportarsi in questo modo sono necessari saggezza e autocontrollo, oltre a una profonda fiducia nelle potenzialità dell’altro, anche quando ci appaiono completamente inespresse. ln altre parole, occorre contrapporre al filtro deformante della nostra emotività un contrappeso che ci consenta di vedere quanto di positivo c’è nell’altro e di trascurare gli aspetti negativi.Riguardo al ruolo del coinvolgimento emotivo nella vita quotidiana, «soffri per quel che c’è da soffrire e gioisci per quel che c’è da gioire» significa che un discepolo del Daishonin dovrebbe vivere intensamente e profondamente la propria quotidianità, senza alcuna forzatura, senza alcun distacco o disinteresse per essa. Egli deve però essere consapevole della relatività di gioia e sofferenza, e non farsi travolgere da esse. Questo è il significato della frase «considera entrambe, sofferenza e gioia, come fatti della vita». Ciò è possibile grazie a una pratica costante della recitazione del Daimoku, che rafforza e con- solida lo stato vitale e lo rende sempre piò indipendente dalle circostanze esterne.

«Continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo qualsiasi cosa accada. ln questo modo sperimenterai una gioia illimitata derivante dalla Legge».

Rafforza la tua fede più che mai. Con profondo rispetto, Nichiren

Dopo un ultimo incoraggiamento a Shijo Kingo a utilizzare la sua grande difficoltà come ulteriore occasione per rafforzare la fede, il Daishonin conclude la sua lettera con una manifestazione del profondo rispetto che nutriva per il suo discepolo. Se il rispetto è l’atteggiamento del maestro nei confronti dei suoi discepoli, a maggior ragione deve esserlo per i responsabili nei confronti dei membri. Un responsabile che non tratta i membri con rispetto ed educazione tradisce lo spirito del Sangha, la comunità dei credenti, e commette un errore imperdonabile che rischia di incrinare il rapporto dei membri con la Soka Gakkai, con il maestro e persino con il Gohonzon. La mancanza di rispetto è grave comunque, essendo una delle quattordici offese, ma è ancora piò imperdonabile se praticata da un responsabile, anche nel caso in cui il contenuto delle sue parole fosse giusto. il Gosho è pieno di ringraziamenti, di parole di lode e di rispetto per i credenti. Dal Daishonin dovremmo imparare, oltre che i principi della fede, anche il suo atteggiamento gentile e pieno di considerazione verso gli altri.


ARTICOLO DI STUDIO DA IL NUOVO RINASCIMENTO N°248 BUDDISMO PER LA PACE,LA CULTRURA E L'EDUCAZIONE
FONTE : http://www.isg.it

note:
1] Sutra del Lato, cap. 16.
2] lbidem, cap. 5

******************************



.....Vorrei fare una precisazione sugli editoriali apparsi sui n. 245 e 247. Parlando del rancore, ho affermato che «più si recita Daimoku con questo sentimento, più questo cresce fino a oscurare tutta la vita» e che ((se andiamo davanti al Gohonzon recitando solo per decidere chi ha torto o ragione, se una cosa è giusta oppure no, allora la nostra prospettiva si restringerà solo alle emozioni e il Daimoku non servirà ad altro che a fare manifestare ancora più rabbia e scontento». La premessa implicita è che recitare Daimoku è una cosa positiva in qualunque condizione siamo, tuttavia la qualità delle risposte è determinata dal nostro atteggiamento. Si può, e si dovrebbe, recitare Daimoku partendo da condizioni negative come il rancore, ma fondamentale è la determinazione di trasformare questa condizione; allom le nostre preghiere porteranno sicuramente a grandi cambiamenti.
Giovanni Littera





******************************

Edited by Marcello Phoenix - 27/10/2007, 18:44
 
Web  Contacts  Top
ETTA57
view post Posted on 27/10/2007, 18:35     +1   -1




bello questo articolo.

quello che io conosco del Buddismo lo devo agli scritti di thich nhat hanh, un monaco vietnamita divenuto famoso perchè durante la guerra ha preso la decisione di rinunciare all'isolamento monastico per aiutare attivamente il suo popolo e chiunque vivesse quella tragica esperienza.

trovo eccezionale il concetto "soffri per quel che c'e' da soffrire e gioisce per quel che c'e' da gioire", di una semplicità disarmante.

soprattutto per me, che tendo sempre e comunque a costruirmi enormi "sovrastrutture mentali", meditare su questi concetti è indispensabile.

quando thic nath hanh è venuto a firenze, qualche anno fa per una conferenza ed una meditazione camminata nel centro della città, ho organizzato un gruppetto di volonterosi e siamo andati a sentirlo.

la meditazione camminata si fa camminando lentamente, un passo per l'ispirazione ed uno per l'espirazione, ripetendosi ogni volta "sono nel momento presente, sono a casa".

beh! è stata una bella esperienza, una processione pacifica di persone che camminavano lentamente nel traffico del centro di firenze, capitanate da un ometto di quasi ottant'anni. alla fine della passeggiata credevo fossero passati dieci minuti, ne erano passati quaranta.

anche la recitazione del mantra credo abbia le stesse caratteristiche di queste tecniche, addomesticare la propria mente per permettere alla parte più viva e reale di noi di emergere. focalizzare il momento presente, appunto : "soffri per quel che c'e da soffrire, gioisci per quel che c'e da gioire".

personalmente credo che anche con la recitazione delle preghiere come noi le conosciamo, per esempio la recitazione del rosario, si possa provare la sensazione di libertà e gioia che ti dà solo l'essere presente e consapevole del momento che vivi.

ciao
simonetta



 
Top
1 replies since 27/10/2007, 17:15   12746 views
  Share